BLOOD IN THE MOBILE

sito ufficiale

Da dove viene il tuo telefonino? Dalla Cina. Si ma prima ancora? Dal continente nero. Computer , telefonini, videocamere: per ferli serve il coltan un mnerale che viene estratto in Congo e c’e’ una connessione tra il commercio di questo minerale e la guerra civile che negli ultimi 15 anni ha fatto piu’ di 5 milioni di morti. Tutti cio’ non da’ pace a Frank Paulser il coraggioso regista di questo documentario, che e’ proprietario di un Nokia, l’azienda leader delle vendite di cellulari. Non e’ la sola coinvolta, ma magari essendo la piu’ sensibile in queste tematiche sociali potrebbe fare qualcosa. Come dire che Silvio risolvera’ il conflitto di interessi. Deve partire da qualcun’altro la lotta a queste ingiustizie. Frank va contro tutti: in Congo e’ visto come un bianco che si vuole arricchire alla faccia di tutti i neri che lavorano in condizioni terribili: va anche a Bisie nella miniera una no-go area per farci vedere quelle che sono le reali condizioni che ci portano ad avere i bei telefonini che dopo due anni buttiamo per avere quello nuovo. Il ciclo di vita di uno schiavo (perche’ non li vediamo ma sono i nostri schiavi) dura un po’ di piu’ effettivamente.
C’e’ una petizione online se puo’ servire qualcosa, bisogna farsi l’accaunt a feisbuk. Si puo’ anche buttare il proprio cellulare per un istinto di rabbia come gesto di protesta, ocio pero’ a non comprarsene piu’ un altro.

BURMA SOLDIER

burma soldier

sito ufficiale

Nella vita una persona puo’ cambiare: non sto pensando a gianfranco fini ma a Myo Myint. Era un soldato dell’esercito Birmano ma in seguito ad un incidente che gli ha fatto perdere una gamba, un braccio e delle dita, non si e’ scoraggiato dell’abbandono dell’esercito ma e’ rinato grazie al desiderio di poter fare qualcosa contro la dittatura a cui aveva partecipato fino al giorno prima: ha aperto una biblioteca di libri vietati dal regime, ha aprtecipato alle dimostrazioni per i diritti del proprio popolo ed e’ stato arrestato per 15 anni e torturato dalle autorita’. Ma ha voltato la faccia al proprio passato cercando di cambiare le cose per il destino del proprio paese.

LOBOTOMY

sito ufficiale

La lobotomia intesa come l’azzeramento totale di un pensiero critico attraverso l’uso dei media, della televisione soprattutto, e’ una cosa che qui in Italia suona familiare. Non a caso Putin e Berlusconi sono amici, consiglieri, fratelli, amanti? Attraverso il conflitto con la Georgia il regista evidenzia le strategie usate dalla televisione: le tecniche audio, di montaggio per manipolare le immagini e la realta’. E si vedono chiaramente militari recitare report al telegiornale mentre ricevono delle granate (messe in post con l’audio), perche’ il soggetto in primo piano recita lo spavento sobbalzando via dallo schermo lasciando il campo a un collega sdraiato sul fondo che continua a riposare, ignaro di essere ripreso. Insomma sono alle prime armi, della recitazione s’intende, purtroppo i fucili li sanno usare abbastanza bene… pesanti le immagini dei militari che commettono le peggio cose sui detenuti e sui dissidenti: stanno online su ru.tube e pare che la maggior parte dei russi non si scandalizzi piu’ di tanto a vederle perche’ e’ abituata. Cosi’ Khashchavatski, il regista, sostiene che la Russia sia governata secondo uno stile mafioso gerarchico. Chissa’ da chi le stara’ imparando queste strategie Putin?

KAPITALISM: OUR IMPROVED FORMULA

sito ufficiale

Se pensavamo di avere la classe dirigente piu’ corrotta d’Europa possiamo credere di essere almeno penultimi: si perche’ nonostante Sarkozy, i leghisti e altri xenofobi dell’ultima ora non se ne fossero accorti la Romania e’ geopoliticamente Europea, e’ stata tra le ultime nazioni balcaniche ad abbracciare il capitalismo e lo ha fatto in maniera disastrosa, come spesso accade quando si esce da un regime comunista: l’eredita’ di Ceauşescu ha lasciato ai piu’ aggressivi e corrotti uomini del paese il potere e il capitale. In Romania oggi c’e’ un divario enorme tra ricchi e poveri: poche persone con redditi altissimi gestiscono quelle che eran le finanze pubbliche. Insomma si stava male sotto il regime comunista, ma questo liberismo estremo non ha certo portato condizioni migliori per tutti: c’e’ chi ha davvero troppo e chi non ha nulla e scappa altrove, anche in Italia per poter vivere dignitosamente. Anche questa e’ una storia gia’ sentita. Pure perche’ i politici prendono in mano i media. I piu’ ignoranti finiscono al parlamento euopeo anche perche’ le elezioni europee sono le meno considerate dagli elettori. Cosi’ mentre noi mandiamo Borghezio, i rumeni hanno mandato George Becali, del partito nazionalista cristiano, un personaggio che poco prima di essere eletto era stato arrestato perche’ quando gli era stata rubata la limousine da un ladro, non aveva aspettato l’intervento della polizia ma lo aveva fatto rapire e torturare dalle sue guardie del corpo: oggi siede alla commissione giustizia del parlamento europeo. In Italia non siamo ancora a questi livelli credo, ma tra i personaggi del documentario c’e’ pure un presentatore televisivo, che rappresenta un po’ il ruolo della TV che deve disinformare e distrarre il grande pubblico dal disastro reale. E in quel campo, in quanto orrore, non siamo secondi a nessuno.

THE GREEN WAVE

sito ufficiale

La rivoluzione verde e’ stato il movimento che si e’ manifestato in piazza e sul network attraverso i blog e i tweets dei manifestanti che cercavano di testimoniare in temporeale cio’ che stavano vivendo al mondo attraverso la rete. Cosi’ questo documentario racconta quell’esperienza: l’elezione di Ahmadinejad i voti rubati a Mousavi, le atrocita’ commesse ai manifestanti, attraveso i materiali video, le interviste, i testi dei blog e delle grafiche di artisti iraniani che ricreano gli scenari che non poterono essere documentati. I racconti sono devastanti. La novita’ di questa rivoluzione Iraniana oltre alla diffusione delle voci della protesta in rete ha fatto vedere a tutto il mondo una forte presenza femminile alle dimostrazioni in piazza, testimoniate tra le altre, dalla figura di Nada, uccisa in strada mentre manifestava.

KINSHASA SINPHONY

sito ufficiale

A Milano le condizioni dell’orchestra sinfonica della scala sono precarie e l’umore dei suoi componenti pare non essere dei migliori ultimemente. Beh, lo stesso si puo’ dire dei corrispondenti di Kinshasa. Ma chi l’avrebbe mai detto che in Congo ci sta una orchestra sinfonica? E che effetto farebbe a Umberto, alla sua trota e tutte le sue altre bestie del suo partito ascoltare l’inno, il va pensiero di giuseppe verdi eseguito da “200 neger”? Perche’ questo documentario segue la vita di queste persone che nella capitale del Congo, di quell’Africa sfruttata in risorse umane e naturali, riescono a mettere in piedi un progetto di tale portata. C’e’ la chiesa dietro che supporta la cosa e nel documentario non viene detto, ma sta chiesa sta un po’ dovunque e penso che sia difficile organizzare le cose in maniera radicale li. E poi cmq mettono le strutture, a suonare e fare il coro sono loro.

CINEMA KOMUNISTO

sito ufficiale

Nostalgia canaglia. Il cinema e’ sempre servito a tutti i dittatori del secolo scorso. Mussolini, Hitler, Stalin e anche Tito: ecco lo sviluppo della cinematografia yugoslava sotto il regime del maresciallo: quasi ridicole le ricostruzioni delle eroiche prestazioni dei partizan contro i nazi fascisti durante la guerra, reinterpretate dagli stessi soldati. Pareva bellissimo il clima che si respirava al festival internazionale del cinema di Pola, rivissuto attraverso le interviste dei registi della mitica Avala Film e del proiezionista personale di Tito: Orson Welles, Hitchcock, Sofia Loren… Le star non sono mancate. Le produzioni hollywoodiane neppure: la differenza era nell’approccio e come realizzare le cose: nema problema! Se il giorno dopo la caduta del duce in Italia si era tutti antifascisti, per almeno 10 anni il 4 maggio la Yugoslavia e’ stata ferma, immobile a piangere la perdita del proprio leader e ancora oggi la nostalgia per il periodo in cui c’era Josip Broz, il maresciallo Tito, e’ nonstante tutto quello che e’ successo, ancora viva.

THE CHINESE ARE COMING TO TOWN

Kalmar e’ una picocla citta’ della Svezia che deve affrontare il problema della disoccupazione e de coneguente abbandono del territorio da parte della popolazione. Il sindaco di questa ctta’ ha una lungimirante e coraggiosa idea: nel 2006 firma un accordo con un ambizioso businessman cinese Luo Jingxing, che ha intenzione di costruire un centrocommerciale e un’area residenziale proprio in questa municipalita’ prossima alla desertificazione sociale. Le differenze culturali sono molte e non e’ facile l’integrazione: i lavoratori cinesi devono adeguarsi alle norme di lavoro svedese, sicurezza del cantiere, salario minimo garantito nordeuropeo. Le culture sono molto differenti: ai cinesi che arrivano viene istruito di non sputare perterra, di non urlare. Con il tempo le cose cominciano a complicarsi: alcuni cinesi che dovevano trasferirsi con la propria famiglia in Svezia cominceranno ad avere dei dubbi, il cantiere non si rivelera’ a norma, gli operai non risulterano essere stati pagati il dovuto, la municipalita’ svedese sara’ costretta a far smettere i lavori finche’ non saranno in regola. Passano gli anni e il centro commerciale rimane un incompiuto nella quasi perfetta Svezia, Mr Jingxing deve un sacco di soldi alla municipalita’ di Kalmar ma sono mesi che non si riesce piu’ a trovare. In Italia non sarebbe successo nulla di tuto questo, gli si sarebbe fatto fare tutto illegalmente e via, presto l’intolleranza avrebbe portato a scene di razzismo quotidiano.

The DANCING BOY OF AFGHANISTAN

sito ufficiale

Se nel nostro paese il presidente preso da un delirio di potenza regalatogli da un popolo per la maggiore rincoglionito si diverte tra le altre cose a fare festini con minorenni ben pagate, in Afghanistan con alcune differenze l’abuso e’ lo stesso. I festini serali avvengono pubblicamente a ballare sono dei ragazzini al massimo di 16 anni (ma cominciano anche a 8 ) in abiti femminili, perche’ per le donne e’ vietato ballare in pubblico e gli uomini pagano non certo come silvio e diventano proprietari dei ragazzini, sui quali commettono violenze sessuali. Il tutto alla luce del sole: e’ illegale ma lo dichiarano loro (ridono quando lo negano), lo dichiarano i ragazzini e lo sa pure la polizia che tiene piu’ alla propria vita piuttosto che intervenire. Per questi ragazzi si tratta di una vera e propria schiavitu’ sessuale: una volta dentro volersi sottrarre e tornare alla liberta’ per alcuni’ e’ significato la morte. Ovviamente la denuncia del documentario ha mosso le cose. Lentamente la situazione, poi in Afghanistan…
piano piano…. come in Italia….

GREENLIT

http://www.youtube.com/watch?v=2aVn0dSG_GM

sito ufficiale

Anche il cinema go green e sposa la causa ambientale, cercando di essere un mondo produttivo meno inquinante, soprattutto quando cerca di comunicare determinati temi. The beach di danny boyle e’ un esempio su tutti: il paradiso di una comunita’ da difendere segretamente, in realta’ devastato e ricostruito per girare le scene del film. Ma questa e’ la punta di un iceberg enorme che si sta sciogliendo e presto ci allaghera’ tutti.
Miranda Bailey la regista di questo documentario segue la produzione di “The River Why” nell’avanzatissimo Oregon, non in Texas, dove quasi tutti gli aspetti ambientali vengono seguiti da una giovane consulente ambientale che crede nella causa e si impegna con tutta se stessa: niente bottiglie di plastica per l’acqua, carta ridotta al minimo, differenziata per i rifiuti… ma c’e’ malumore nel set e dopo un po’ scatta un boicottaggio nei confronti della piccola creatura che tanta passione ci sta mettendo e calcola quanto potrebbe cambiare il mondo se tutti i film si producessero in maniera meno impattante.
Cifre alla mano, come non darle ragione. Ma e’ una questione culturale e ci vuole del dannato tempo, purtroppo non accade tutto all’improvviso. Lo dimostrano in una nota alla fine del documentario i viaggi in aereo che ha percorso la regista tra los angeles, portland, new york… dopo che ha passato ore e ore ascoltandola.