The DANCING BOY OF AFGHANISTAN

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Se nel nostro paese il presidente preso da un delirio di potenza regalatogli da un popolo per la maggiore rincoglionito si diverte tra le altre cose a fare festini con minorenni ben pagate, in Afghanistan con alcune differenze l’abuso e’ lo stesso. I festini serali avvengono pubblicamente a ballare sono dei ragazzini al massimo di 16 anni (ma cominciano anche a 8 ) in abiti femminili, perche’ per le donne e’ vietato ballare in pubblico e gli uomini pagano non certo come silvio e diventano proprietari dei ragazzini, sui quali commettono violenze sessuali. Il tutto alla luce del sole: e’ illegale ma lo dichiarano loro (ridono quando lo negano), lo dichiarano i ragazzini e lo sa pure la polizia che tiene piu’ alla propria vita piuttosto che intervenire. Per questi ragazzi si tratta di una vera e propria schiavitu’ sessuale: una volta dentro volersi sottrarre e tornare alla liberta’ per alcuni’ e’ significato la morte. Ovviamente la denuncia del documentario ha mosso le cose. Lentamente la situazione, poi in Afghanistan…
piano piano…. come in Italia….

GREENLIT

http://www.youtube.com/watch?v=2aVn0dSG_GM

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Anche il cinema go green e sposa la causa ambientale, cercando di essere un mondo produttivo meno inquinante, soprattutto quando cerca di comunicare determinati temi. The beach di danny boyle e’ un esempio su tutti: il paradiso di una comunita’ da difendere segretamente, in realta’ devastato e ricostruito per girare le scene del film. Ma questa e’ la punta di un iceberg enorme che si sta sciogliendo e presto ci allaghera’ tutti.
Miranda Bailey la regista di questo documentario segue la produzione di “The River Why” nell’avanzatissimo Oregon, non in Texas, dove quasi tutti gli aspetti ambientali vengono seguiti da una giovane consulente ambientale che crede nella causa e si impegna con tutta se stessa: niente bottiglie di plastica per l’acqua, carta ridotta al minimo, differenziata per i rifiuti… ma c’e’ malumore nel set e dopo un po’ scatta un boicottaggio nei confronti della piccola creatura che tanta passione ci sta mettendo e calcola quanto potrebbe cambiare il mondo se tutti i film si producessero in maniera meno impattante.
Cifre alla mano, come non darle ragione. Ma e’ una questione culturale e ci vuole del dannato tempo, purtroppo non accade tutto all’improvviso. Lo dimostrano in una nota alla fine del documentario i viaggi in aereo che ha percorso la regista tra los angeles, portland, new york… dopo che ha passato ore e ore ascoltandola.

LAST TRAIN HOME

http://www.youtube.com/watch?v=YC7H9p8v08M

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E’ il documentario che ha vinto l’anno scorso: il padre che va a lavorare in fabbrica con la madre per mettere via i soldi e sacrifica una vita per far studiare i figli non vedendoli per tutto l’anno, si trova la figlia abbandonare gli studi e seguirlo in fabbrica. deluso quando torna a casa a salutare l’altro figlio piu’ piccolo (da qui il titolo del film, i treni che trasportano tutti i lavoratori del tessile dalla regione del Sichuan ai villaggi delle varie provincie per la festa del nuovo anno, nel fenomeno di migrazione di massa piu’ grande del mondo) gli si raccomanda di studiare sempre. E’ in questo momento che la figlia lo manda affanculo scatenando l’esplosione del padre che inizia a picchiarla. La scena si ripetera’ tre volte, le volte che la figlia ripetera’ la parola “fuck” davanti al padre e durante la seconda zuffa la ragazza si rivolgera’ verso la camera e ti chiedera’: “vuoi filmare chi sono veramente? questa sono io realmente. cos’altro vuoi?”. Questa forse e’ la realta’ che Lixin Fan il regista vuole farci conoscere. ma quanto e’ costata a quella ragazza e quanto ci potra’ fatturare al nostro senso di colpa?

MY KIDNAPPER

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La storia e’ vera, il doc pare lost.. non la storia.. ho appena detto che e’ vera… lo stile.
Nel 2003 mark handerson viene rapito nella foresta della Sierra Nevada dall’ELN assieme ad altre 7 persone per 101 giorni. Dopo alcuni mesi riceve una email dal suo rapitore, Antonio e comincia una corrispondenza segreta con lui. 7 anni piu’ tardi 4 di loro decidono di tornare nel luogo del loro rapimento e confrontarsi con i militanti dell’ELN che li hanno trattenuti. Nei luoghi reincontrano le persone che li detenevano e scoporno la storia dalla parte opposta. C’e’ molto dell’autore, che e’ il protagonista, il rapito. e vorrei ben vedere. Ma c’e’ anche molto del punto di vista dell’ELN. Tra i 4 i due piu’ propensi a comprendere non erano gli israeliani che dovrebbero chedere un sacco di comprensione per i propri atteggiamenti, ma perquanto si e’ sempre comprensivi e dalla parte delle lotte e dei movimenti sociali che lottano per i diritti dei popoli, non so quanto potrebbe essere facile tornare dai propri rapitori.

BUDRUS (2010)


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Julia Bacha in questo documentario segue principalmente attraverso la figura di Ayed Morrar la comunita’ palestinese di Budrus coinvolta in una lotta non violenta contro l’esercito israeliano per difendere i propri territori dalla distruzione, soprattutto di 3000 ulivi fondamentali per la sopravvivenza economica. La lotta coinvolge i membri sia di Hamas che di Al Fatah ed in seguito ancheĀ  alcuni attivisti israeliani. La lotta non violenta si presenta con tutte le forme note: presidi nterminabili, prima le donne avanti che si dimostreranno tenaci e determinate, strategie di accerchiamento delle truppe dell’esercito… Il punto di rottura ad un certo punto arriva: ai soldati e’ stato infatti ordinato di portare a termine il loro compito, cosi’ quando non fanno piu’ passare una manifestazione la situazione degenera immediatamente e dopo una serie di violenze su persone, seguono alcuni lanci di pietre, i soldati sparano si portano via un abitante del villaggio e qualcosa bisogna fare per risollevare la situazione.
Alla fine il pragmatismo a Budrus guidera’ al successo questo movimento sociale.
E’ interessante sapere quanto possono avere influito la costante presenza delle telecamere difronte all’esercito israeliano dal momento che hanno sempre lasciato riprendere. Impressionante il razzismo di alcune scene in cui attivisti israeliani manifestano davanti ai palestinesi e i soldati cercano di colpire i palestinesi cercando di schivare i propri connazionali dichiarandolo: “levati, non posso colpirti, devo colpire lui (il palestinese uomo o donna che sia, agitando il manganello con una rabbia isterica nell’aria).
INTERVISTA