BLOOD IN THE MOBILE

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Da dove viene il tuo telefonino? Dalla Cina. Si ma prima ancora? Dal continente nero. Computer , telefonini, videocamere: per ferli serve il coltan un mnerale che viene estratto in Congo e c’e’ una connessione tra il commercio di questo minerale e la guerra civile che negli ultimi 15 anni ha fatto piu’ di 5 milioni di morti. Tutti cio’ non da’ pace a Frank Paulser il coraggioso regista di questo documentario, che e’ proprietario di un Nokia, l’azienda leader delle vendite di cellulari. Non e’ la sola coinvolta, ma magari essendo la piu’ sensibile in queste tematiche sociali potrebbe fare qualcosa. Come dire che Silvio risolvera’ il conflitto di interessi. Deve partire da qualcun’altro la lotta a queste ingiustizie. Frank va contro tutti: in Congo e’ visto come un bianco che si vuole arricchire alla faccia di tutti i neri che lavorano in condizioni terribili: va anche a Bisie nella miniera una no-go area per farci vedere quelle che sono le reali condizioni che ci portano ad avere i bei telefonini che dopo due anni buttiamo per avere quello nuovo. Il ciclo di vita di uno schiavo (perche’ non li vediamo ma sono i nostri schiavi) dura un po’ di piu’ effettivamente.
C’e’ una petizione online se puo’ servire qualcosa, bisogna farsi l’accaunt a feisbuk. Si puo’ anche buttare il proprio cellulare per un istinto di rabbia come gesto di protesta, ocio pero’ a non comprarsene piu’ un altro.

KINSHASA SINPHONY

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A Milano le condizioni dell’orchestra sinfonica della scala sono precarie e l’umore dei suoi componenti pare non essere dei migliori ultimemente. Beh, lo stesso si puo’ dire dei corrispondenti di Kinshasa. Ma chi l’avrebbe mai detto che in Congo ci sta una orchestra sinfonica? E che effetto farebbe a Umberto, alla sua trota e tutte le sue altre bestie del suo partito ascoltare l’inno, il va pensiero di giuseppe verdi eseguito da “200 neger”? Perche’ questo documentario segue la vita di queste persone che nella capitale del Congo, di quell’Africa sfruttata in risorse umane e naturali, riescono a mettere in piedi un progetto di tale portata. C’e’ la chiesa dietro che supporta la cosa e nel documentario non viene detto, ma sta chiesa sta un po’ dovunque e penso che sia difficile organizzare le cose in maniera radicale li. E poi cmq mettono le strutture, a suonare e fare il coro sono loro.